Nel sistema adottato per la lavorazione del riso nel 1750 il prodotto tolto dal vaso veniva posto prima nella cesta a due manici (al cavagnin da muliné) fabbricata con i salici selvatici da bravi artigiani (i cavagnè) che provenivano dalle zone del lago Maggiore, poi versato nel setaccio appeso al soffitto, detto spulvrin.
Mosso dal pilatore, il setaccio lasciava cadere la puntina (la rottura del riso molto fine: germe, puletta e pula). La lolla, che dato lo speciale movimento impresso dall’artigiano rimaneva in superficie, veniva tolta a mano.
Il riso veniva poi “lanciato” con calcolata forza nel secondo setaccio detto trabatto (al trabat) dotato di fori più grandi del precedente, che lasciava cadere la rottura (mezzagrana e granoni). Grazie ad uno speciale movimento rotatorio, galleggiavano i chicchi non ancora sgusciati (i granon), che radunati in un solo punto venivano rimossi manualmente in blocco e nuovamente lavorati.
Il riso ottenuto era infine lanciato nel deposito (al marnin), dal quale usciva al termine della giornata (o della lavorazione) ed insaccato dopo essere stato misurato con la misura allora in uso.
Le origini delle tecniche esposte si perdono nella notte dei tempi.
La lavorazione del riso nel 1864
Nel diagramma di lavorazione nella pista da riso Masinari dal 1864 la tecnica si avvale di una nuova macchina. Oltre ai piloni ed il ventilatore, che con la cassetta di aspirazione, toglieva la lolla, viene introdotto in aiuto il buratto rotante per separare la puletta e la pula.
Buratto e ventilatore collocati al piano superiore erano mossi dalla stessa trasmissione che dava il moto verticale ai piloni.
Il lavorato tolto dai vasi era portato al piano superiore a spalla con le solite ceste.
L’opificio di Mede prevedeva due scale in legno, una sotto al porticato con la quale si saliva al piano superiore portando la cesta piena di riso da vuotare nel baratto, un’altra riparata dalla gronda del tetto che serviva ai facchini per scendere.
Nel 1867 furono introdotti il buratto di prepulitura per la separazione della terra e dei semi, il bramino di arenaria per la sgusciatura (sostituiti da bramini con palmento in sughero e a seguire con palmenti di smeriglio) e gli elevatori a tazze (detti i fachin perché sostituivano il lavoro manuale dei facchini).
La lavorazione del riso nel 1900
Agli esordi del XX secolo, arrivarono le eliche ad aiutare i piloni nella raffinazione.
Queste macchine erano costituite da un vaso di granito di dimensioni maggiori dei piloni.
Il riso veniva mosso da un’elica di ferro; un sistema meccanico di contagiri permetteva di stabilire un certo tempo di lavorazione, dopodiché il prodotto veniva scaricato da un portello collocato sul fondo del vaso.
Fu inventata in quegli anni la spazzola (al lustrin) per spolverare i chicchi di riso.
Era formata da un cono tronco di legno rotante sulla cui area laterale erano inchiodati mazzetti di crine animale.
Il riso fatto cadere dall’alto veniva così spazzolato prima di scendere nell’elevatore di ripresa.
Si pensa con una certa sicurezza che dalla spazzola rotante venne l’idea della sbiancatrice di tipo Amburgo (la machinà) per realizzare la riseria moderna capace di una produzione continua ed automatica.
Dal 1900 allo Stabilimento attuale
Nata ad Amburgo, città da quale prese il nome, la macchina sbiancatrice è stata a seguire perfezionata da costruttori italiani.
Negli anni successivi al 1900 furono introdotti i Paddy per la separazione del risone dallo sbramato in sostituzione delle abili mani del pilatore addetto al trabatto, le bonarde, i separatori per le grane verdi e gessate, le tarare, i calibratori per togliere le rotture, gli sbramini a rulli di gomma, le ventilatrici automatiche, le botti per la brillatura con talco e glucosio, le macchine sbiancatrici di costruzione giapponese per frizione (al fine di ottenere un prodotto sempre più bianco e senza difetti, esaltando le caratteristiche estetiche).
A partire dal 2007, il nuovo stabilimento della famiglia Masinari riscrive l’antico diagramma di lavorazione del riso.
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